A INVENTARE LA P2 FURONO GLI AMERICANI

da "Fotti il Potere - Gli Arcana della Politica e dell'Umana Natura"

Francesco Cossiga 2010
 
Non c'è solo il denaro, naturalmente. Il regno oscu­ro del potere invisibile su cui spesso s'appoggia il potere politico si compone di voci diverse, e una parola che da sempre aleggia sulla politica italiana è la parola massoneria. Parola cara a Francesco Cossiga, che massone dice di non esserlo mai stato ma che tale viene comunque considerato da molti. Anche perché è lui stesso a lasciarlo intendere. Ci gioca. Ama ricordare il nonno massone di rito scoz­zese e venerabile della Loggia di Sassari» e quando occorre difende l'istituzione da attacchi, critiche e luoghi comuni.
Presidente, la massoneria è in grado di influenza­re la politica?
«Le risponderò con un motto, poco noto, di Alcide De Gasperi: "Sapere che esiste, ma non parlarne mai e avere almeno due ministri massoni nei governi che si formano"».
Perché?
«Perché la massoneria può sempre tornare utile. Naturalmente oggi non ha più la forza che aveva nell'Ottocento, quando era la religione civile del Risorgimento contro la Chiesa e accomunava monar­chici e repubblicani. Allora, la massoneria coincide­va con lo Stato e massoni erano i vertici delle forze armate e dei carabinieri. Oggi la massoneria è anco­ra influente, ma sicuramente meno d'un tempo».
Perché si diventa massoni?
«Ah, be', occorre distinguere. Oggigiorno c'è anche chi, sulla scia delle suggestioni new age e magari della letteratura di Paulo Coelho, si fa massone spin­to da un umano desiderio di trascendenza e di spiri­tualità fuori dalla religione tradizionale. Per altri è una forma di distinzione sociale: in loggia si ritrova­no con persone più altolocate di loro e ritengono di poterne trarre qualche vantaggio».
Conta più l'ideale o l'interesse?
«Domanda difficile, credo che per molti l'interes­se sia una spinta più che sufficiente...»
Può dunque capitare che uomini politici avversa­ri in parlamento alla sera si ritrovino nella medesi­ma loggia: questo ha un qualche effetto sulle cose della politica?
«Può averlo, cerio. In loggia si stringono legami personali, nascono rapporti, si concepiscono affa­ri... Ma a far la differenza tra una condotta lineare e una condotta diciamo così equivoca sono, al solito, la tempra morale e il senso dello Stato di ciascuno».
Dalla massoneria alla P2, in passo è breve...
«La gente non sa che la P2 è stata inventata dagli Stati Uniti, Paese in cui l'influenza degli "illuminati" è rappresentata dalla simbologia massonica emblemati­camente riprodotta sulle banconote da un dollaro e nel quale dei quarantaquattro presidenti che si sono suc­ceduti alla Casa Bianca fino a oggi solo tre non erano massoni: due di loro (McKinley e Kennedy) furono ammazzati, mentre il terzo (Nixon) fu costretto alle dimissioni. Quanto a Obama, non saprei dire. Ma se finirà ammazzato anche lui potrebbe significare che non era massone... La P2, comunque, esiste da quan­do Roma è diventata Capitale d'Italia ed era la loggia a cui si iscrivevano i massoni che ricoprivano alte cari­che dello Stato. E questo spiega perché non ci fosse l'obbligo di frequentare il Tempio il sabato sera e per­ché ci si potesse iscrivere anche all'orecchio del Grande Fratello. Il primo statista della P2 fu Giuseppe Zanardelli, più volte ministro e nel 1901 capo del governo. In tempi più recenti, quando gli americani videro che i comunisti si stavano avvicinando troppo all'area del potere fecero della P2 un'associazione ipe- ratlantista. Diciamo la verità, si immagini cosa poteva fregargliene a certi banchieri o a certi capi di Stato maggiore di forza armata di Licio Gelli... Aderire alla P2 per molti è stato solo un modo per avere buoni rap­porti con gli Stati Uniti, i quali incaricarono appunto Gelli, che io conosco bene, di organizzare la cosa».
Con quale fine?
«Col fine di essere sempre informati su quel che accadeva in Italia, di ritardare il più possibile l'an­data al potere dei comunisti e diavere a disposposizio ne un ultimo baluardo di democrazia qualora la situazione fosse effettivamente precipitata».
Nel frattempo, i piduisti facevano affari...
«Sì, certo, come avviene in tutte le associazioni. Ma la gente non sa, o non ricorda, che dopo tutto il can can che è stato fatto la Cassazione ha sentenzia­to che l'appartenenza alla P2 non costituisce reato. Essere iscritti alla P2 o a una bocciofila era, insom­ma, la stessa cosa!»
Per il trentennale del sequestro Moro si è tornati a parlare della P2, cui, tra gli altri, erano iscritti tutti, ma proprio tutti, i capi dei servizi segreti di allora, nonché il capo della squadra mobile responsabile dei posti di blocco a Roma e il comandante dei nucleo investigativo dei carabinieri. C'è chi crede che questo sia più che sufficiente a spiegare la man­cata liberazione dell'ostaggio.
«Favole. E poi, guardi, per prassi i direttori dei servizi segreti sono stati tutti nominati con l'accordo del Partito comunista, e s'immagini se il servizio di vigilanza del Pci non sapeva che erano pidduisti...»
Il servizio di vigilanza del Pci?
«Sì, era uno dei servizi di informazione più capil­lare dentro l'amministrazione dello Stato: bravissi­mi e cioè in-for-ma-tis-si-mi! Pensi che scoprii solo diversi anni dopo essere stato ministro dell'Interno che avevano contatti costanti col servizio segreto militare e con quello civile. E senza che il ministro ne sapesse nulla! Le racconto questo per dire che il Pci della P2 e di chi fossero i suoi affiliati sapeva tutto, ma non ha mai ritenuto che ciò rappresentas­se una vera e propria minaccia».
La P2 si è effettivamente sciolta?
«Si, fu effettivamente sciolta da Giovanni Spadolini, che di questo fece un suo cavallo di battaglia, attra­verso il gran maestro Armandino Corona epurò i piduisti dalla massoneria con scrupolo certosino. Uno zelo che lo mise in contrasto con la Gran Loggia di Londra, dal momento che un massone non può, o meglio non potrebbe, denunciare e far giudicare dalla Giustizia profana un fratello massone».
Modesta annotazione a margine, ricavata da una pagina ingiallita del notes di un vecchio cronista. È il resoconto dell'arrivo a Roma del neoambasciatore statunitense Graham Martin, uomo legato alla Cia.
Siamo alla fine degli anni Sessanta, è una mattina­ta tiepida e ai piedi della scaletta dell'aereo appena atterrato da Washington sostano due macchine. La prima, più vicina, è quella dei funzionari dell'amba­sciata giunti ad accogliere il nuovo capo. Della seconda, ferma qualche metro più in là, non si sa nulla. Solo quel che si vede: è una mercedes scura. Martin sbarca dall'aereo, saluta frettolosamente gli uomini dell'ambasciata e si dirige verso la merce­des. Ne scende un uomo di bassa statura che l'am­basciatore abbraccia fraternamente e col quale si accomoda sul sedile posteriore. La mercedes fila via, quell'uomo era Licio Gelli.

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